Autobus

L’uomo odorava di Vecchia Romagna, aveva una bocca con pochi denti malandati e l’abbronzatura e le rughe tipiche di chi lavora perennemente all’aperto e non ha altro diversivo che il fumo e l’alcool.
Quell’umanità ammaccata la sentì familiare, come se gli fosse propria, quella gente che faceva a cazzotti con la vita e non ne riceveva che altre mazzate.
Anche l’autista era un tipo simpatico, un paesano di quelli tutti di un pezzo, che invece si sentiva a suo aggio nel suo ruolo e nella vita in genere.
Viaggiare con i mezzi pubblici, gli era mancato, lo riconnetteva con la gente e con la vita di tutti i giorni.
Ogni persona che saliva non aveva bisogno di parlare, raccontava una storia già con la propria fisicità, coi gesti quotidiani e necessari.
Capitava in quei piccoli viaggi di ricordare un amore del passato, e il rammarico di aver perso di vista tante persone che un tempo erano stati importanti e che forse lo avrebbero avvicinato a sé stesso. Poi pensava invece al tran-tran quotidiano e la velocità che improvvisamente aveva preso la vita che non si sapeva più da che verso prenderla e tutto sembrava meno necessario e perentorio del passato. Soprattutto le passioni, quelle erano ridotte al lumicino.
L’uomo caccio un pacchetto di sigarette di una marca sconosciuta e questo lo rimando al tabacchino del paese dove dietro al banco vi era il sorriso sfottente di Peppe, che parlava in quel modo assolutamente comico che metteva di buon umore tutti gli avventori anche quelli più arcigni, quei vecchi muratori che ordinavano le Alfa rosse, che costavano un quinto delle Marlboro a cui facevano il verso…